venerdì 15 aprile 2011

Mahler e il grande occhio d'argento

Ho arricciato spartiti come se ci fosse un peso dentro e volessi sbarazzarmene per riprendere ad avere fede nella voce dei violini.

Solo che non ho occhi per vedere questa serenità, questo Spirito altissimo e supremo che tutto ha già descritto nell'atto di spogliarsi della materialità per donarla all'uomo.

Ma perché?

Ho arricciato spartiti quando le note hanno preso a suonare come sonagli, come crotali di creature immonde dentro i miei pensieri e, di contrasto, come il mite tubare dei piccioni.

Serpenti, nove serpenti di una sinfonia così dura da scrivere.

E l'occhio della luna che mi osserva, vede crescere la mia sete e mi spoglia inopportuna di ogni dettaglio per avere solo l'uomo, nudo e senza nessuna sacralità.

Sono ai suoi piedi freddo e mortale come il Verbo mi creò.

La musica viene come crede e sbatte arrogante il cattivo gusto di questa modernità, l'immondizia che ogni nuovo tempo riversa su quello che lo ha preceduto.

Sarà che ho in testa un arco teso, proteso contro la solidità degli ottoni ma questi accenni di guerra non trovano ancora una valida ragione per scatenare del tutto la loro furia.

Ho sete di questo inneffabile mistero che ci avvolge eppure non riesco più a separare la luce dall'oscurità.

Così ho in testa una sinfonia che non ho il coraggio di scrivere e quell'occhio d'argento che mi osserva pallido e freddo, mi osserva perché già conosce ciò che ho dentro.

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